Avrò con te sempre la medesima devozione, lo stesso ardore. E quella specie di innocenza che mi permette di esserti aspro senza perdere dolcezza.
Sarò io sempre, solo i guanti cambieranno.
I primi saranno bianchi, di filo. Umili, da servo, perché per esserti padrone devo prima farti regina. A occhi chini attenderò il tuo ordine che non tarderà a venire. Spogliami, dirai con voce inflessibile come fosse un castigo scoprirti il corpo. In ginocchio, le dita candide vinceranno la resistenza dei bottoni. Scivolerà a terra in un fruscio la gonna che piegherò con cura. E dopo quella altri indumenti come petali, rimossi con grazia ad uno ad uno, a lasciare nudo il fiore. I guanti bianchi si uniranno in un'adorazione muta, poi sfioreranno appena la seta della pelle senza osare oltre.
Quindi verranno i guanti biondi, di morbido camoscio. Pelle su pelle in una premura trattenuta, il corpo da esplorare palmo a palmo con lentezza. Sarò cieco senza bisogno della benda, gli occhi negati per affidarmi al tatto. Toccarti e riconoscerti in un gioco di memoria e di amnesia. E tu sarai tesoro, mappa e labirinto. Di sospiro in gemito mi condurrai nei tuoi luoghi più nascosti e lì mi accoglierai. Sarò il camoscio che balza con grazia da un pascolo all'altro e qui e lì bruca goloso.
Guanti neri da finanziere che meticoloso indaga tra pieghe e nascondigli. La professione di diffidenza a guidar le dita nella ricerca di tracce e indizi di un imbroglio, piccoli segni sulla pelle di passaggi rapidi e corsari di chi ti ruba a me. Ti fai frugare senza innocenza, aperta come un libro-mastro da sfogliare, ti eccita l'indagine quanto il ricordo del peccato e il pensiero del castigo. E se non trovo invento un consumo sconcio delle labbra, l'impronta viola di un morso sul capezzolo, il cedere colpevole al dito indagatore dei muscoli che più dovrebbero difenderti dai tentativi d'intrusione, ei come una porta che più non tiene e sbatte al primo vento. Troia regina, ti punirò.
I guanti da chirurgo, lisci e distaccati, da stringere sul collo per cancellare il ghigno d'orgoglio con cui mi sfidi. Voglio la paura nei tuoi occhi e il fiato corto d'apprensione mentre le mani gelide scorrono sul corpo a cercare l'accesso naturale da cui aprirti come un pollo. Due dita nei tuoi buchi come forbici, tagliare la membrana che separa il bene e il male, farti cloaca. Sorrido al tuo terrore, mi basta quello, è poco più che un gioco, questo. Ti punirò, certo, ma non così.
Guanti da lavoro, ruvidi e pesanti come la mia mano pronta a calare sul tuo culo. Prima però ti striglio, mi affascina la pelle che si arrossa alla carezza rozza della iuta. Sei una cavalla indocile che ama e teme la mia mano. Poi ti piego sulle mie ginocchia, la pancia che si adatta riluttante alle mie ossa, il culo esposto e consenziente, perché a te piace tutto ciò che fa sentire vivi i sensi. Mentre il guanto s'abbatte sui tuoi glutei tesi lasciando impronte arabescate nessun bavaglio a censurar le labbra. Amo ascoltare come m'insulti e sproni in un groviglio di parole aspre e contrarie. E brucia il tuo culo come un cuore pieno di passione.
A mani nude, ora, ti prendo e stendo sul tappeto.
A mani nude sulla pelle nuda, ti ripercorro tutta a cancellare i segni e a farne di più dolci.
Ti coprirò col corpo in lievi onde e brevi mareggiate, starò dentro di te fino a sfiorarci l'anima.
Zenzero